
Eric Adams: chi è il nuovo sindaco di New York?
Care ventitrentiane e cari ventitrentiani, vi ricordate cosa vi ho detto quando abbiamo parlato della difficile situazione in Myanmar? Ci sono storie in cui non è facile stabilire chi sono i buoni e chi sono i cattivi, perciò bisogna giudicarle con molta attenzione e solo dopo averle studiate fino in fondo.
Ecco, oggi vorrei fare una piccola aggiunta: non solo ci sono storie senza buoni o cattivi ben definiti, ma, molto più spesso di quanto possiate immaginarvi, a tutti quanti capita di fare cose buone o cattive a seconda della situazione in cui ci troviamo.
Per esempio, sono sicuro che, se ci pensate un attimo, anche a voi sarà successo di fare cose sbagliate per via del momento, del vostro stato d’animo, del problema che dovevate affrontare, delle persone che avevate intorno… insomma, per diverse ragioni. Poi magari, più tardi, riflettendoci, avete concluso che era meglio agire in un altro modo.
Ma perché vi sto dicendo questo? Semplice: perché sto per raccontarvi la storia di un uomo che da ragazzino è addirittura finito in carcere per aver commesso un furto, ma che poi è cresciuto, ha studiato, è diventato un poliziotto e pochi giorni fa è stato eletto sindaco di New York.
“Come è possibile?” direte voi. Datemi fiducia, vi rispondo, e leggete la storia di Eric Adams, perché è proprio l’esempio perfetto di come non si possa giudicare una persona da una sua singola azione. È solo l’intero arco di una vita a dirci chi è veramente.

STORIA DI UN UOMO CHE NON HA MAI PERSO IL SORRISO
Un’infanzia veramente difficile
Vi confesso: a me le frasi fatte non piacciano per niente. Ma nel caso di Eric, dire che “ha avuto un’infanzia difficile” non è una frase fatta, perché è stata davvero così.
Nato a New York nel 1960 da due genitori molto poveri, è cresciuto in un palazzo mezzo distrutto a Bushwick, nel distretto di Brooklyn. Sua madre era una donna delle pulizie, mentre suo padre faceva il macellaio e beveva troppi alcolici. Lui era il quarto di sei figli, e da piccolo andava a scuola portandosi dietro un sacchetto di vestiti perché temeva che la sua famiglia potesse essere cacciata di casa da un momento all’altro visto che non sempre riuscivano a pagare l’affitto.

Per dare una mano ai suoi, a 14 anni Eric comincia a lavorare come lavavetri, ma finisce per unirsi a una banda di criminali che lo porta sulla cattiva strada. E così, un anno dopo, lui e suo fratello vengono arrestati per aver tentato di rubare una tv. È quel giorno che la sua vita cambia per sempre.
Gli agenti che li hanno portati in centrale li picchiano senza motivo fino a quando non arriva a difenderli un poliziotto di colore. Quell’episodio segna profondamente Eric, che decide di impegnarsi per entrare a sua volta nelle forze dell’ordine con l’obiettivo di cambiarle dall’interno.
Cambiare le cose dall’interno
Se ricordate, abbiamo già parlato del razzismo diffuso tra i membri della polizia negli USA quando vi ho spiegato perché alcuni giocatori di calcio si inginocchiano prima delle partite (cliccate qui). Ma come potete immaginare, questo problema, portato nuovamente alla ribalta dal movimento Black Lives Matter, era già presente quando Adams era un ragazzino. Un ragazzino però che, spinto dal desiderio di migliorare la propria vita insieme a quella della sua famiglia e di tutte le persone di colore di New York, prima si diploma alla Bayside High School, poi frequenta il college mantendosi da solo e infine nel 1984 entra in polizia per contribuire a riformarla.
Vent’anni di lotte
Da allora Eric è rimasto in servizio per quasi 22 anni, combattendo contro qualsiasi forma di discriminazione razziale. In particolare, è uno dei fondatori dei 100 Black in Law Enforcement Who Care, un gruppo che si è impegnato per una riforma della giustizia che salvaguardi gli afroamericani. E ha lottato a lungo per l’abolizione dello Stop and Frisk (“Ferma e perquisisci“), una pratica che permetteva ai poliziotti di fermare e perquisire chiunque, ma soprattutto gli appartenenti alle minoranze, senza bisogno di prove. Con il suo esempio, dunque, ha fatto sì che forze dell’ordine e afroamericani si guardaressero finalmente negli occhi restando alla stessa altezza.

Mens sana in corpore sano
Terminata la sua esperienza in polizia, Eric ha continuato a dare il suo contributo alla comunità entrando in politica. Prima è stato per diversi anni presidente del distretto di Brooklyn, facendolo rifiorire, e poi si è candidato a sindaco di New York.
Per darvi un’idea di quanto sia importante questo ruolo, sappiate che gli americani lo considerano il secondo più difficile d’America, subito dopo quello di Presidente degli USA.
Ma Eric non è affatto spaventato dal compito che lo aspetta. Subito dopo la sua elezione, infatti, ha dichiarato:
“Stasera i newyorkesi hanno scelto uno di loro. Io sono uno di voi. Questa non è solo una vittoria sulle avversità, è la prova che i dimenticati possono essere il futuro. Tra quattro anni questa città non sarà più la stessa.”
Tanti sono i temi per cui si batterà: oltre a ridurre le disuguaglianze (obiettivo 10 dell’Agenda 2030), Adams punta a migliorare salute e benessere (obiettivo 3 dell’Agenda 2030) dei suoi cittadini. Come gli antichi, è infatti un sostenitore del detto “Mens sana in corpore sano“, una mente sana in un corpo sano. Dopo che gli è stato diagnosticato il diabete, è diventato vegano, e ha promosso iniziative per avvicinare i newyorkesi a uno stile di vita più salutare, come i Meatless Monday, i “lunedì senza carne”. D’altra parte il 2021 è l’anno della frutta e e della verdura (cliccate qui) e New York è pur sempre la GRANDE MELA!
The Big Apple
Già, ma perché New York si chiama così? L’espressione Big Apple, “Grande Mela”, venne usata per la prima volta all’inizio del secolo scorso nel libro The Wayfarer in New York (Il viaggiatore a New York) di Edward S. Martin. In questa specie di guida turistica, lo scrittore dice: “Lo stato di New York è come un melo, con le radici nella valle del Mississippi”.
Negli anni Venti, poi, questa metafora fu riutilizzata dal giornalista sportivo John J. Fitz Gerald in riferimento alle corse dei cavalli che si tenevano in città. Pare infatti che all’epoca la parola “mela” fosse sinonimo dei soldi vinti da chi scommetteva sui cavalli. E a New York, ovviamente, si facevano le vincite più grandi, “the biggest apples”.

Negli anni Trenta, invece, tutti i musicisti jazz iniziarono a chiamare New York “la Grande Mela” per l’enorme successo che aveva chiunque suonasse nei club di Harlem e Broadway. Mentre negli anni Settanta il presidente dell’ufficio del turismo, Charles Gillet, usò per la prima volta questa metafora in una pubblicità per aumentare il numero dei visitatori.
Infine, nel 1997, il sindaco Rudolph Giuliani ha riconosciuto definitivamente questo soprannome battezzando l’angolo tra la Cinquantaquattresima e Broadway, dove il giornalista Fitz Gerald aveva vissuto, come “Big Apple Corner”.

Speriamo che il nuovo sindaco, capace di non perdere mai il sorriso, sappia riportare questa città – molto provata dai due anni di pandemia – alla sua “grandezza”, restituendole il rosso acceso di una mela vincente!
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Illustrazione © Lucia Conversi.
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