Salviamo i castelli di sabbia: allarme spiagge per le isole europee

Salviamo i castelli di sabbia: allarme spiagge per le isole europee

22 Maggio 2021 0 Di Pier

Care ventitrentiane e cari ventitrentiani, giugno si avvicina e con lui la fine della scuola e l’inizio delle vacanze estive. Così, come ogni anno, in questo periodo anch’io comincio a sentire fortissimo il richiamo del mare. Eh sì, perché non so se ve l’ho già detto, ma vengo da una terra, la Versilia, che nonostante abbia alle spalle le altissime Alpi Apuane, è proprio affacciata sul Mar Tirreno, e per me l’estate è sinonimo di interi pomeriggi passati a sguazzare nell’acqua, ma non solo… Significa anche piantare l’ombrellone, dormire su un lettino, fare infinite partite di beach volley, passeggiare sulla battigia e soprattutto, fin da quando sono piccolo, costruire castelli di sabbia.

In Versilia nel giro di pochi chilometri si passa dalle cime delle Alpi alla spiaggia

Ecco spiegato perché, quando ho letto la notizia di cui vi parlerò oggi, ho sentito subito una grande tristezza, seguita da un moto di rabbia che mi ha spinto a dire: devo raccontare immediatamente questa cosa ai ragazzi e alle ragazze di Ventitrenta, perché so che possono capirmi e aiutarmi a cambiare il futuro.

Ma di cosa si tratta? È presto detto: se continueremo a non fare niente contro il riscaldamento globale, entro il 2100 (cioè tra meno di ottant’anni) molte spiagge d’Europa, in particolare quelle delle sue bellissime isole, scompariranno del tutto. Riuscite a immaginarvelo? Io, devo ammetterlo, faccio una grande fatica a figurarmi un domani in cui non potremo più affondare i piedi nella sabbia, e mi dispiace tantissimo, persino per quella bollente che te li scotta un po’ e ti fa correre fino a riva per immergerli nell’acqua. In fondo fa parte del divertimento, no?

Un danno per il divertimento, per l’economia, ma soprattutto per la natura!

La verità, però, è che non si tratta solo di un ostacolo alla nostra possibilità di divertirci. La sparizione delle spiagge rischia di provocare anche gravi conseguenze a livello economico. Come? Voi andreste mai a visitare un’isola senza più coste o in vacanza su un litorale dove non ci sono più stabilimenti balneari perché il mare si è mangiato tutto? Sì, avete capito, il turismo in certe zone diminuirebbe parecchio e molte persone resterebbero senza lavoro. Ma non è tutto! Il problema più grave è l’enorme danno ambientale che ne deriverebbe. L’intero ecosistema che ruota attorno al mare sarebbe compromesso: morirebbero un sacco di animali e sparirebbe tutta la vegetazione di riviera.

Ecco perché non possiamo aspettare oltre! L’agenda 2030, che ci chiede di lottare contro il cambiamento climatico (obiettivo 13) e di salvaguardare la vita sott’acqua (obiettivo 14), ma io aggiungerei anche vicino all’acqua, ci impone di unire le nostre forze per salvare tutti quei milioni di granelli di sabbia che anche quest’anno ci aspettano per diventare torri imponenti dentro i nostri secchielli.

VUOI SAPERNE DI PIù?

Il progetto europeo Soclimpat

Il problema della scomparsa delle spiagge è già emerso a livello mondiale da un po’ di tempo, ma facciamo ancora una grande fatica a prevedere cosa potrebbe accadere in determinate regioni o luoghi. È quello che hanno pensato di capire i ricercatori del progetto europeo Soclimpat.

Unendo le loro forze, climatologi ed economisti hanno studiato quali potrebbero essere i rischi per la cosiddetta blue economy, cioè per tutte quelle persone che sono coinvolte in lavori che hanno a che fare con il mare e con le spiagge di isole e arcipelaghi del continente europeo.

Inanzitutto adesso abbiamo un elenco preciso dei posti più in pericolo, tra i quali ci sono Antille Francesi, Azzorre, Baleari, Canarie, Corsica, Creta, Cipro, Fehmarn, Madeira, Malta, e le nostre amate Sardegna e Sicilia.

Inoltre il modello sviluppato da questo importante gruppo, anche se non ci permette di dire con assoluta certezza se la spiaggia del Poetto a Cagliari o la spiaggia dei Conigli a Lampedusa, o quella di Mondello vicino Palermo, saranno in pericolo, ci dà un quadro generale delle coste sulle nostre due principali isole. E l’immagine non è delle migliori. La perdita di spiaggia da qui al 2100 riguarda la Sardegna per il 58% e la Sicilia per il 61%, cioè entrambe rischiano di perderne ben più della metà.

Questo, chiaramente, è lo scenario peggiore, cioè quello in cui ce ne restiamo con le mani in mano a guardare il disastro senza intervenire.

Ma perché le spiagge scompaiono?

Per agire, però, è necessario sapere quali sono le principali cause dell’erosione delle spiagge europee.

Al primo posto, senza dubbio, c’è l’innalzamento delle acque dovuto al riscaldamento globale. È un problema di cui abbiamo già parlato un sacco di volte anche qui nella nostra rivista (vedi articoli sotto), e come puoi facilmente capire contribuisce alla sparizione dei litorali perché letteralmente li inghiotte.

La seconda causa è legata ancor di più a noi esseri umani, che negli ultimi decenni siamo stati responsabili di un’eccessiva urbanizzazione delle coste. Abbiamo costruito troppo, e troppo vicino al mare, provocando una riduzione forzata dei tratti che prima erano occupati dalla sabbia.

I danni che abbiamo prodotto, però, non si limitano a questo. Siamo colpevoli anche della sparizione dei sedimenti naturali portati dai fiumi, i quali contribuivano al rifornimento naturale dei lidi. Oggi questi “rinforzi” non arrivano più perché abbiamo costruito troppe dighe e perché insistiamo a estrarre sabbia e ghiaia dal letto dei corsi d’acqua, impedendo loro di giungere al mare.

Infine, come un cane che si mangia la coda, i continui lavori di manutenzione che facciamo per cercare di mantenere vive le spiagge (apportando nuova sabbia e scavando con le gru), finiscono invece per distruggere la vegetazione del litorale che aiutava a trattenere le dune, ossia la più naturale forma di difesa dalle mareggiate.

Dune ricoperte di vegetazione, la forma più naturale di difesa delle spiagge

Da dove possiamo iniziare per provare a salvare il salvabile? Gli studi del progetto Soclimpat ci dicono che nella situazione attuale molte spiagge hanno già il destino segnato, ma cercare di arrestare le emissioni di gas serra, per esempio, potrebbe contribuire a dimezzare il fenomeno. Il che non è male, no?

Da dove arriva la sabbia?

Io credo che il modo migliore per cominciare a nutrire maggior rispetto per qualcuno sia conoscere la sua storia. Se si sa da dove arriva, quanta strada ha fatto, se ha dovuto faticare, quanto tempo ci ha messo, è facile iniziare a volergli bene. Forse, allora, sapere da dove viene la sabbia potrebbe aiutare anche voi ad amarla un po’ di più e a impegnarvi per difenderla. Dovete sapere che le spiagge hanno impiegato millenni a formarsi, attraverso il lentissimo accumulo di sedimenti portati soprattutto dai fiumi. Poi le onde e le correnti di mari e oceani hanno distribuito questo materiale lungo le coste, come la spatola di un pasticciere che stende la panna su una torta. Sono, per esempio, spiagge nate in questo modo quelle dell’Adriatico, molto lunghe e con granelli piccolissimi. Se invece il lido è alto e scosceso, probabilmente l’arenile è composto da rocce provenienti dalle scogliere e sgretolate dalle onde. Troviamo calette e insenature di questo tipo in Liguria.

Ecco, io dico: sapendo che alle spalle c’è il lavoro di secoli e secoli da parte di fiumi e mari, vi sembra giusto che in ottant’anni rischiamo di far scomparire spiagge come questa?

Curiosità: i mille colori della sabbia

Sono certo che come me siete curiosi di saperlo: ma perché la sabbia ha diversi colori? Semplice. Se la roccia di cui è composta è di origine calcarea, cioè è formata principalmente da calcite, un minerale a base di carbonato di calcio, la sabbia sarà chiara.

Se invece vi trovate di fronte a una spiaggia scura, come quella dell’isola di Stromboli, è perché nelle vicinanze c’è di sicuro un vulcano attivo.

I detriti possono infine essere di origine organica, come nel caso delle spiagge coralline, formate dai frammenti degli scheletri degli organismi che compongono la barriera degli atolli.

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