
Per la festa della Liberazione, vi raccontiamo la storia di Vera
Nella città dove sono nata, il 25 aprile è una giornata di gran festa per tutti. Al pomeriggio le strade si riempiono di gente che va verso la piazza, e la piazza rimbomba di musica che va verso la gente. Si canta, sul palco e giù dal palco, si balla, si sollevano braccia e striscioni. Bambine sulle spalle dei papà, vecchietti sulle panchine, ragazze e ragazzi sui pilottini che circondano la piazza: l’atmosfera scoppiettante contagia tutte e tutti. O magari non proprio tutti, ma sicuramente NESSUNO può dimenticarsi che è il 25 aprile, e che cosa significa.


25 aprile 1945: l’Italia viene liberata dai nazifascisti
Chissà che chiasso e che gioia doveva esserci, quel 25 aprile 1945. Si erano ritrovati tutti insieme per strada senza darsi appuntamento e si dicevano l’un l’altro che era tutto vero: la guerra era finita, i fascisti e i nazisti erano sconfitti, gli italiani e le italiane erano finalmente liberi, libere. Potevano di nuovo respirare, parlare ad alta voce senza paura, vivere.
La Festa della Liberazione ci ricorda quanto sia prezioso tutto questo; essere liberi, intendo, poter esprimere la propria opinione e scegliere ciò che vogliamo per la nostra vita. Ma ricorda anche le persone che combatterono (e spesso persero la vita) per conquistare questa libertà. Pier ha spiegato tutto benissimo nell’articolo qui sotto, quindi non vi ripeto chi erano Mussolini e Hitler, che cosa significa Resistenza e com’è andata la guerra. Per festeggiare il 25 aprile vi racconto la storia di Vera.
Vera Vassalle. Storia di una partigiana
Appena nata, Vera capì subito che stare al mondo non doveva essere un’impresa facile. Era pronta a succhiare latte, farsi delle grandi dormite ed essere cullata fra le braccia della mamma… e invece dovette cominciare subito a combattere. Il suo nemico era potente e crudele, anche se aveva un nome che ricorda il miele: poliomielite. La poliomielite è una malattia grave che può paralizzare le gambe e braccia; ai tempi di Vera non esisteva il vaccino che oggi ci facciamo da bambini, così la piccoletta dovette battersi da sola, senza nemmeno uno scudo con cui difendersi. Ma Vera era una guerriera, e scacciò il suo terribile nemico.
La terribile battaglia, però, lasciò un segno: Vera non camminava come tutti gli altri, si trascinava un po’ una gamba, era zoppa. Ma non tanto, appena appena. Si notava solo se la guardavi mentre si allontanava sul lungomare di Viareggio, la sua cittadina. Anche perché lei non ci badava (o così almeno sembrava), e dato che non ci badava lei, non ci badavano neanche gli altri e a poco a poco se ne dimenticarono tutti.
Vera fra i partigiani
Erano altri i pensieri che la tenevano sveglia Vera di notte: le ingiustizie a cui assisteva ogni giorno, la mancanza di libertà, la violenza, la paura… La dittatura e la guerra avevano trasformato la vita in un incubo. Quando, nel 1943, ebbe inizio la lotta per la Liberazione dai nazifascisti, Vera non ci pensò un attimo: si presentò dai partigiani della zona e disse: “Voglio essere dei vostri”.
Sì, anche se era una donna, anche se non poteva correre come un fulmine per sfuggire ai fascisti o ai tedeschi.
I partigiani, che proprio in quel momento avevano una missione urgente da affidare, non ci pensarono un attimo nemmeno loro e dissero: “Sicura? Bene, mettiti subito alla prova. Devi andare ad Avellino, dove ci sono i nostri alleati inglesi e gli americani, e chiedere delle armi per noi partigiani di Viareggio.”
Dalla Toscana alla Campania: un viaggio mica da ridere!
“Che problema c’è?” risponde invece lei, ed è già partita.
Vera fra i soldati americani
In due settimane, sempre con il cuore in gola, Vera raggiunge i soldati americani, ma non ha nemmeno il tempo di tirare un sospiro di sollievo perché questi le affidano un’altra missione. Usando il radiotelegrafo (un marchingegno per ricevere e trasmettere messaggi), dovrà tenere in contatto partigiani e Alleati in modo da organizzarsi e attaccare insieme i nazifascisti. In pratica si manderanno messaggi con un codice segreto in modo che solo chi conosce il codice possa capire. Scommetto che l’avete fatto con qualche amico.
“Ma io non sono capace” confessa Vera. No problem, la mandano in Puglia dove gli uomini dei Servizi Segreti (le famose spie!) americani le insegnano come fare. Poi dalla Puglia va in Corsica e arriva a casa, in Toscana, a bordo di un sommergibile!
Messaggi da decifrare e codici segreti
Quando sbarca, nella valigia ha il marchingegno e di fianco a lei un tecnico incaricato di far funzionare il marchingegno. C’è un posto di blocco, li perquisiscono. Vera continua a sorridere ma una goccia di sudore le scende dalla fronte… L’uomo in divisa apre la valigia. “È finita” pensa Vera, e intanto sorride. L’uomo la guarda (per fortuna non guarda in giù) e richiude la valigia, facendo segno di andare.
Dopo mille peripezie, arrivano a Viareggio, ma il marchingegno non va. Il tecnico non sembra molto esperto, aveva detto di essere capace ma non sembra proprio… Vera allora va a Milano da sola, dove incontra altri americani e si fa promettere un nuovo tecnico. Il nuovo tecnico arriva dal cielo, con un paracadute. Vera non sa che l’uomo che sta scendendo giù, dritto dritto, sulle montagne dietro Viareggio sarà per lei molto di più di un tecnico…
La lotta per la libertà
In due e due quattro, Mario, così si chiamava il paracadutista, aggiusta il marchingegno. I due giovani cominciano a ricevere e trasmettere messaggi importantissimi, organizzano 65 voli di aerei per portate armi ai partigiani, diventano un punto di riferimento per ribelli e Alleati, si lavora tutti insieme, giorno e notte. Qualcuno però li tradisce e i nemici scoprono il loro nascondiglio: presto Vera, presto Mario, distruggete i codici dei messaggi segreti, fate sparire i documenti, presto, abbandonate il radiotelegrafo e sparite. Quando i fascisti sfondano la porta del nascondiglio, Vera e Mario sono appena usciti dall’ingresso sul retro. Scappano, scappano, tenendosi per mano, corrono, ormai sanno di amarsi e che il loro amore non finirà mai.
Ma non hanno nessuna intenzione di arrendersi: troveranno un altro apparecchio e continueranno a trasmettere messaggi e notizie fino al grande giorno, il 25 aprile 1945.
Quando scendono in strada, Vera e Mario si guardano intorno, incrociano gli sguardi di gente felice e incredula come loro. Hanno fatto la loro parte, hanno contribuito a questa grande gioia, alla libertà.

Proprio così, fra i partigiani c’erano anche le donne
Esatto, una partigiana donna. Quando si parla di partigiani si parla quasi sempre di uomini (e in effetti erano in maggioranza maschi), in realtà non mancarono partigiane donne. Spesso, come i ragazzini, facevano le staffette, cioè portavano in bici o a piedi ordini, messaggi, documenti, cibo ai partigiani nascosti. Un compito importantissimo e rischiosissimo: se una staffetta veniva scoperta, era spacciata. Ma ci furono anche donne che combatterono in prima linea, che fecero le spie, che si inventarono altri mille modi per essere utili.
Di chi è il 25 aprile
Il 25 aprile è la festa di tutte e tutti quelli che hanno fatto qualcosa, anche di piccolissimo, per la Liberazione. Ma anche di coloro che avrebbero voluto e non ne hanno avuto il coraggio. Più semplicemente, è la Festa di tutte e tutti quelli che, il 25 aprile di ogni anno, si sentono felici.
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