Si può misurare la felicità? Il Bhutan dice di sì (anzi, si deve)

Si può misurare la felicità? Il Bhutan dice di sì (anzi, si deve)

1 Aprile 2021 0 Di Micaela

E tu, quanto sei felice?

«Cinquemilia botti di sorriso»
«Mezzo tonne-quintale di crema»
«Dodici chilometroni di lacrime di gioia»


Gianni Rodari, l’autore di Favole al telefono, forse si divertirebbe a rispondere così, immaginando un dialogo tra due bambini che si inventano una scala di misurazione tutta loro, proprio come in A inventare i numeri. E come dargli torto? Io non saprei dirvi come misurare la felicità. Anzi, non saprei darvi una definizione precisa di che cos’è la felicità: non credo che la felicità per me sia identica identica alla felicità per te. E forse, a pensarci bene, la felicità non è una sola ma è fatta di tante cose.
Però vi posso dire questo: tutti abbiamo il diritto di provare a essere felici. L’hanno anche scritto in uno dei primi documenti in cui si parla dei diritti “inalienabili” dell’uomo, quelli che nessuno ci può togliere: la Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America, del 1776… quasi 250 anni fa! Lì si dice proprio che tra i diritti inalienabili ci sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità.

La felicità “collettiva”

Siccome voi siete ragazzi che “vogliono cambiare il mondo”, vi propongo di allargare il ragionamento.
Se uno Stato deve sempre cercare il bene comune, cioè il bene di tutti i suoi cittadini… beh, allora non può ignorare il loro bisogno di essere felici. Ma come fa se la felicità non è la stessa per tutti? 
Deve, come prima cosa, gettare le basi per costruire una felicità “collettiva”, da cui poi ognuno può partire per cercare la propria. In poche parole, deve eliminare tutti gli ostacoli che possono impedirci di raggiungere la felicità e far sì che tutti partano alla pari in questa ricerca. 
Quali sono gli ostacoli principali? Le disuguaglianze, a ogni livello: se una persona non ha da mangiare o non ha una casa… come può dedicarsi a cercare la felicità? Se invece lo Stato riesce a creare un livello di benessere comune, in cui le persone possono soddisfare i bisogni fondamentali e si sentono bene perché sanno di essere protetti e aiutati dalla società… allora è più facile guardare oltre (vedi Agenda, Obiettivo 10)

La disuguaglianza economica è alla base di tante altre disuguaglianze: la ricchezza non fa la felicità, ma la povertà è un ostacolo enorme per essere felici
Lo Stato deve garantire a chi parte svantaggiato i mezzi per poter raggiungere gli stessi risultati degli altri

Il caso del Bhutan: la FIL, la Felicità Interna Lorda

C’è uno Stato che l’ha fatto, che ha cercato di misurare la felicità collettiva: il Bhutan. In questo piccolo staterello sulle montagne dell’Himalaya, in Asia, hanno deciso che non bastava il PIL per misurare lo sviluppo di un Paese, ma che era più importante la FIL. Ma che cosa indicano queste due sigle?
PIL sta per Prodotto Interno Lordo, e, semplificando, calcola quanta ricchezza produce un Paese: è quindi un dato che tiene conto solo dell’economia. 
FIL sta per Felicità Interna Lorda e calcola il benessere dei cittadini, considerando tanti elementi: salute, ambiente, istruzione, relazioni con gli altri… 
La FIL non esclude il benessere economico, sarebbe ingenuo e sbagliato: se sei povero e sei costretto a lavorare invece che andare a scuola, è innegabile che questo incide sulla tua possibilità di essere felice. Però ci dice che quello da solo non basta.
Pensaci bene: in fondo, quando l’Agenda dell’Onu ci parla di SVILUPPO SOSTENIBILE, non sta dicendo la stessa cosa? 

Un monastero buddista in Bhutan

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• Dal Bhutan all’ONU: la felicità diventa un obiettivo comune
Gli ingredienti della felicità

Anche l’Onu ascolta il piccolo Bhutan: la politica deve cercare la felicità

Anche se sei piccolo, se dai il buon esempio i grandi ti stanno a sentire. Fin dal 2011 l’ONU ha preso sul serio l’esempio del piccolo Bhutan e ha dichiarato che la felicità deve essere uno degli obiettivi che guida i politici: si deve seguire un’idea di sviluppo più “completa”, non solo economica ma che tiene conto della qualità della vita dei cittadini. E non si è fermata lì:
• nel 2012 ha pubblicata per la prima volta il World Happiness Report, cioè una classifica della felicità negli stati del mondo, che viene aggiornata più o meno ogni anno. In questa classifica i primi posti sono occupati da Stati europei (la Finlandia è prima da 4 anni! vedi la tabella qui sotto): questo ci dice che la disuguaglianza tra Paesi ricchi, come quelli europei, e Paesi in via di sviluppo incide tantissimo sulla felicità
• nel 2013, su proposta proprio del Bhutan, ha creato la Giornata mondiale della felicità, che si festeggia il 20 marzo
Ma soprattutto nel 2015 ha approvato l’Agenda: 17 obiettivi concreti per gettare le basi di una felicità collettiva (vedi Agenda 2030)

I primi 10 paesi più “felici” secondo il Word Happiness Report 2021. L’Italia è al 25 posto

Quali sono gli ingredienti della felicità collettiva?

Vi ricordate cosa dicevamo all’inizio? La felicità, anche quella collettiva, è fatta di tante cose, che bisogna considerare quando si cerca di misurarla. Non siamo delle capsuline chiuse, le nostre emozioni positive e negative entrano ed escono, interagiscono con quello che sta dentro e fuori di noi.
Alcuni elementi che influenzano la nostra felicità sicuramente sono venuti in mente anche a voi: la salute (la tua speranza di vita IN BUONA SALUTE, non lunga e basta), la libertà (di muoversi, di pensare con la propria testa, di fare le proprie scelte, di diventare quello che si vuole!), la qualità dell’aria, dell’acqua, del suolo, insomma dell’ambiente in cui si vive, e anche, come abbiamo detto, il fatto di avere i mezzi per vivere dignitosamente. Ma c’è anche qualche elemento meno scontato:

Solidarietà e fiducia negli altri

Proprio così: la gente è più felice se sa di poter contare sugli altri: sapere, per esempio, che se si perde il portafoglio quasi sicuramente qualcuno ce lo riporterà. Questo vale ancora di più nei momenti di difficoltà, come può essere la pandemia di Covid 19: è importante sentirsi parte di una comunità che sta lottando per gli stessi obiettivi, e sapere che non si è lasciati soli, ma c’è una rete di sostegno pronta ad aiutarci.

Fiducia nelle istituzioni

Avere fiducia nello Stato è fondamentale: essere convinti, cioè, che agisca per il bene di tutti e che sia in grado di prendere le decisioni giuste per tutti. Se si è convinti che lo Stato funzioni, si è più disposti a impegnarsi anche in prima persona, per esempio partecipando alle elezioni: quando in uno Stato la gente va poco a votare, non è mai un buon segno… significa che le persone pensano che sia inutile, che lo Stato non le rappresenti.
Uno dei problemi che, per esempio, allontana le persone dalla politica è la corruzione, cioè quando un politico approfitta del proprio ruolo per favorire qualcuno in cambio di soldi o di favori personali. Pensa, per esempio, a un insegnante (anche lui è un ufficiale pubblico, un rappresentante dello Stato): che fiducia potresti avere in lui se scoprissi che dà una promozione immeritata a qualcuno solo perché è amico del padre proprietario di una concessionaria, che gli ha fatto uno sconto sull’auto?

L’Italia ha preso seriamente le indicazioni dell’ONU: dal 2016, quando i politici fanno il bilancio dello Stato, cioè decidono come usare i soldi pubblici, devono fare il modo che una parte di essi sia impiegata per migliorare tutti quegli aspetti (appunto: salute, ambiente, istruzione ecc…) che aiutano a creare nella società un “benessere equo (=giusto) e solidale”.
Quindi sì, anche in Italia si sta facendo qualche passo in più verso la felicità collettiva.