
Oggi è la Giornata contro la discriminazione: ricordiamo Martin Luther King
Ci hai mai fatto caso, caro Ventitrentiano, che per ricordarci le cose importanti spesso dobbiamo segnarcele da qualche parte? Altrimenti, chissà come, finisce che ce le dimentichiamo! Tra i tanti sistemi che abbiamo inventato per aiutare la nostra memoria c’è quello di fissare delle giornate speciali dedicate a particolari temi. Sono momenti in cui ci ritroviamo tutti insieme per ricordarci l’importanza di qualcosa. Ecco, oggi è proprio uno di quei giorni: in inglese si chiama Zero Discrimination Day, mentre da noi la chiamiamo Giornata internazionale contro la discriminazione. E che cos’è?

Si festeggia sempre l’1 Marzo di ogni anno, ed è stata lanciata per la prima volta nel 2014 da Michel Sidibé, che alle Nazioni Unite guidava la lotta all’Aids (una malattia molto difficile da curare). Questa giornata ha come obiettivo quello di combattere qualsiasi forma di discriminazione. Uh, che parolone! Cosa significa?
Tutti uniti contro le discriminazioni
Discriminare vuol dire “distinguere”, “separare”, “fare una differenza”. Di suo, quindi, non è un termine negativo: ci sono volte in cui fare delle distinzioni, separare una cosa da un’altra, è necessario. Pensa a quando i tuoi pennarelli finiscono mischiati con le matite colorate e tu li dividi per rimetterli nell’astuccio. In quel caso stai discriminando pennarelli e matite per fare un po’ d’ordine. Ma quando parliamo di lotta contro le discriminazioni intendiamo tutte quelle situazioni in cui le persone vengono trattate in modo diverso (vengono cioè “discriminate“) sulla base di qualche loro caratteristica. Per esempio, si tratta di tutti quei casi in cui qualcuno viene offeso o subisce un torto per il colore della sua pelle, per questioni legate al genere (perché è una donna), per la propria religione, perché ha una disabilità o una malattia particolare (come appunto l’Aids), insomma, semplicemente per un suo attributo.
Ma come è possibile?! Eh, sì, sono sicuro che ti sembra assurdo che certe cose succedano ancora oggi, soprattutto da quando ridurre le disuguaglienze è diventato un obiettivo dell’Agenda 2030 (obiettivo 10). Ma la verità, come ti dicevo all’inizio, è che spesso abbiamo la memoria corta, e ci scordiamo anche dei progressi che abbiamo fatto nel corso della nostra storia, magari grazie all’impegno di figure straordinarie come quella di cui ti voglio parlare oggi: Martin Luther King.
vuoi saperne di più?
- Il ragazzino che sapeva parlare alla gente
- Dall’autobus di Rosa Parks alle proteste per i diritti
- Dalle azioni di disobbedienza civile alla marcia su Washington
- Un discorso storico: “I have a dream…”
- Fai sentire la tua voce, sempre!
Il ragazzino che sapeva parlare alla gente
Michael King Junior nasce ad Atlanta, in Georgia, negli Stati Uniti, il 15 gennaio 1929. Il suo papà, però, nel 1934 decide di cambiargli il nome in Martin Luther perché durante un viaggio in Germania è rimasto affascinato dalla figura di Martin Lutero, il grande riformatore della chiesa protestante.
Il ragazzino, che in famiglia tutti continuano a chiamare Mike, cresce e studia ad Atlanta, dimostrandosi fin da piccolo un grande oratore, cioè uno davvero bravo nel fare i discorsi davanti alla gente. Inizia così ad andare in giro per il paese per partecipare a gare di oratoria, dove ci si sfida a parlare di fronte a un pubblico. E proprio tornando vincitore da una di queste, a soli 14 anni si vede costretto a lasciare il posto a sedere sull’autobus a dei passeggeri bianchi facendo il resto del tragitto in piedi, ben 141 chilometri! Una vera ingiustizia che, come lui stesso racconterà in seguito, resta impressa nella sua memoria.

Dall’autobus di Rosa Parks alle proteste per i diritti
Seguendo il consiglio del padre, Martin, dopo la laurea in sociologia, intraprende gli studi religiosi per diventare pastore (cioè sacerdote) della chiesa battista. E nel 1954 il venticinquenne King, che ha da poco sposato la fidanzata Coretta Scott, diventa il giovanissimo pastore della chiesa di Dexter Avenue a Montgomery, in Alabama. Purtroppo si tratta di una delle città del sud degli Stati Uniti dove la discriminazione razziale è più forte.
È proprio qui, infatti, che nel 1955, succede una cosa molto simile a quella vissuta dal piccolo Martin. Una ragazza di colore, Rosa Parks, rifiuta di cedere il proprio posto a un uomo bianco su un autobus e per questo viene arrestata. La comunità nera si stringe attorno al suo giovane pastore e tutti insieme decidono di attuare contro questa ingiustizia una forma di protesta non violenta che consiste nel non prendere più gli autobus per spostarsi.

È così che Martin Luther King diventa la guida di una lunga serie di lotte per l’eliminazione delle leggi segregazioniste, ossia quelle leggi che volevano mantenere la divisione tra bianchi e neri in tutti gli ambiti, compresa la scuola! Il giovane pastore fonda e diventa presidente del Congresso dei leader cristiani degli Stati del Sud, che ha l’obiettivo di unire tutta la comunità di colore per cercare di conquistare i diritti civili, compreso quello di voto.
La protesta, all’inizio degli anni Sessanta, si allarga sempre di più, arrivando a coinvolgere tutti gli Stati Uniti. E King, nonostante finisca più volte in galera per aver guidato manifestazioni e tenuto discorsi, diventa una figura di riferimento e arriva a influenzare addirittura il futuro presidente degli Stati Uniti, John F. Kennedy, che durante la sua campagna elettorale si schiera a favore degli afroamericani.
Dalle azioni di disobbedienza civile alla marcia su Washington
Forse ti è già capitato di sentir parlare di disobbedienza civile. Ma sai che cos’è? Si tratta di azioni non violente che mirano a scuotere la coscienza delle persone per farle riflettere su cose che non funzionano. Martin Luther King, insieme a tanti altri attivisti, è stato uno dei più grandi rappresentanti di questa forma di protesta. La usava per mettere in luce il razzismo presente ovunque nella società americana. Un tipico esempio di un’azione di questo tipo consisteva nell’entrare in un locale “proibito” ai neri e nel mettersi a sedere sul pavimento finché non arrivava la polizia. Come spesso amava ricordare Martin, “Una legge ingiusta non è legge”, e quindi è lecito dissobedire.
L’altra grande “arma” utilizzata da King erano le marce, ossia le camminate di protesta a cui partecipava un sacco di gente. La più famosa di tutte è la marcia su Washington per il lavoro e la libertà del 28 agosto 1963. In quell’occasione circa 250.000 persone si radunarono per manifestare a sostegno del riconoscimento dei diritti civili ed economici agli afroamericani, e a tutt’oggi resta uno dei più grandi raduni per i diritti civili nella storia degli Stati Uniti.

Un discorso storico: “I have a dream…”
Se fin da ragazzino sei abituato a parlare in pubblico, probabilmente non ti spaventa l’idea di doverlo fare di fronte a una marea di gente. Io non so se quel giorno a Martin tremavano le gambe oppure no, di sicuro però sapeva esattamente cosa voleva dire. Voleva gridare a tutti che era il momento di cambiare, di far sparire per sempre le discriminazioni dovute al colore della pelle, e per farlo pronunciò quello che è rimasto il suo discorso più celebre, che tutti ricordiamo per le parole “I have a dream”.
“I have a dream” in inglese significa “Io ho un sogno”, e Martin ripeté questa frase per ben 8 volte nel tentativo di passare l’idea che l’America poteva diventare per tutti un posto migliore. In uno dei passaggi più belli, infatti, King disse:
“Io ho un sogno, che i miei quattro bambini possano un giorno vivere in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per ciò che hanno dentro.”

Fai sentire la tua voce, sempre!
La storia di Martin Luther King è la storia di un eroe, e come tante storie di eroi non finisce bene. Martin venne assassinato il 4 aprile 1968 sul balcone di un motel di Memphis. Si trovava in quella città per guidare l’ennessima protesta non violenta, perché fino all’ultimo restò convinto di una cosa: era pronto a morire per la causa degli afroamericani, ma non era pronto a provocare morti inutili. Ci ha lasciato così una grande lezione: non dobbiamo mai smettere di manifestare di fronte alle ingiustizie e alle discriminazioni, dobbiamo farlo in maniera pacifica, con l’unica arma che non uccide, ma che può cambiare il mondo: la nostra voce.

Alla prossima, mio caro ventitrentiano, e mi raccomando: stay focused on the goals!