Il “Nobel per l’Ambiente” 2021 a cinque donne (e un uomo) combattenti

Il “Nobel per l’Ambiente” 2021 a cinque donne (e un uomo) combattenti

24 Giugno 2021 0 Di Pier

Più passa il tempo, cari Ventitrentiani e care Ventitrentiane, e più mi convinco che non è un caso che il nostro pianeta abbia un nome femminile, Terra, e che da sempre in tantissime culture del mondo ci si riferisca a lei come alla nostra Madre Terra. Da un lato, infatti, mi pare evidente che lei si prenda cura di noi come se fossimo i suoi figli. E dall’altro mi sembra chiaro che tra gli esseri umani chi ha dimostrato di essere maggiormente in grado di proteggere nostra madre siano le donne.

Lo testimonia anche la notizia di oggi: pochi giorni fa sono stati assegnati i Goldman Environmental Prize 2021, una specie di “Premio Nobel per l’Ambiente“, e cinque su sei degli attivisti che lo hanno vinto sono appartenenti al genere femminile.

Ecco il simbolo del Goldman Environmental Prize

Il premio lo hanno inventato nel 1989 i due filantropi (un parolone per indicare persone che si impegnano perché tutti siano felici) Richard e Rhoda Goldman. Attraverso la sua assegnazione, questi benefattori volevano dare risalto alle lotte di tanti ambientalisti in giro per il mondo. Per questo i premiati sono sei ogni anno: perché ne viene scelto uno per ciascuno dei sei continenti.

Le storie degli ultimi premiati, come vedremo fra poco, sono molto diverse tra loro. Ma, a ben guardare, possiamo trovare un filo rosso che le collega tutte quante. È la loro capacità di dar vita a movimenti collettivi che sono riusciti a produrre una vera trasformazione nelle comunità in cui vivono. Nel sito del premio infatti sono descritti come:

“leader che hanno le potenzialità per ispirare altre persone ordinarie a compiere azioni straordinarie per proteggere la Terra”

Goldman Environmental Price Site

I nomi delle premiate (e del premiato)

Ecco qua i nomi delle cinque vincitrici e del vincitore del “Nobel per l’Ambiente” 2021 e il loro paese d’origine:

  • Gloria Majiga-Kamoto, originaria del Malawi, in Africa
  • Maida Bilal, proveniente dalla Bosnia-Erzegovina, in Europa
  • Kimiko Hirata, nativa del Giappone, in Asia
  • Sharon Lavigne, residente in Lousiana, in Nord America
  • Liz Chicaje Churay, abitante del Perù, in Sud America
  • Thai Van Nguyen, che vive in Vietnam, in Asia

N.B.: I più attenti tra di voi avranno notato che quest’anno ci sono due premiati per l’Asia e nessuno per l’Oceania. Speriamo che i suoi abitanti si rifacciano l’anno prossimo!

Le parole di esempio di Kimiko

Prima di raccontarvi le esperienze di ciascuno dei sei, voglio chiudere la prima parte proprio con le parole di una di queste donne eccezionali, la giapponese Kimiko Hirata. Parlando del fatto che tutti quanti possiamo contribuire a salvare il pianeta, un’idea in cui crediamo molto anche noi di VENTITRENTA, ha detto:

“Molte persone pensano che l’azione climatica è qualcosa che fai solo a casa tua, risparmiando elettricità e usando meno plastica. Non è tutto qui. Abbiamo bisogno di qualcosa di più grande, ciascuno di noi deve agire per cambiare il sistema economico, fare di più per la collettività”

Kimiko Hirata

Che dire? Ha proprio ragione… come tutte le donne, del resto, che stanno dimostrando con le loro azioni quanto sia importante il loro contributo al bene comune. Ecco perché è fondamentale riconoscere loro pari oppurtunità, come ci ricorda l’obiettivo 5 dell’Agenda 2030.

SEI COMBATTENTI PER LA TERRA

Gloria e la sua lotta alla plastica

Gloria Majiga-Kamoto ha deciso di lottare contro l’inquinamento causato dalla plastica nel suo paese, il Malawi, nel sud-est dell’Africa. Fino al 2019 questa nazione produceva 75mila tonnellate di plastica ogni anno, di cui l’80 per cento era non riciclabile. Grazie alle numerose manifestazioni organizzate da Gloria, insieme ad associazioni e attivisti provenienti da tutto il mondo, da due anni in Malawi è vietata la vendita di prodotti di questo tipo.

Per un continente come l’Africa, infatti, la plastica è altamente infestante, perché non ci sono sistemi all’avanguardia per smaltirla e il suo utilizzo provoca gravi conseguenze ambientali ed economiche. Finisce infatti per danneggiare seriamente agricoltura, allevamento e pesca, i principali settori in cui sono impiegati i compatrioti di Gloria. Per questo la sua vittoria sulla plastica è una vittoria per tutti i malawiani.

Maida che si batte per i fiumi

A partire dal 2018, Maida Bilal ha manifestato per 503 giorni consecutivi insieme alle donne del suo villaggio per impedire la costruzione di due dighe sul fiume Kruscica. La Bosnia-Erzegovina è tra i paesi dei Balcani che conservano gli ultimi fiumi incontaminati d’Europa.

Un’immagine dall’alto delle acque limpidissime del fiume Una in Bosnia-Erzegovina

La necessità di produrre sempre più energia sfruttando le centrali idroelettriche, però, li sta mettendo in serio pericolo. Con la sua battaglia Maida ci ha ricordato quanto sia difficile riuscire a mantenere un equilibrio tra i nostri bisogni e quelli dell’ambiente che ci circonda: anche quando pensiamo di sfruttarlo al meglio grazie alle energie rinnovabili rischiamo comunque di alterarlo in maniera irreversibile.

Kimiko e la guerra ai gas serra

Come abbiamo visto nell’articolo su Chernobyl, l’energia nucleare può essere molto pericolosa. Lo sanno bene i giapponesi che, nel 2011, hanno dovuto affrontare il disastro di Fukushima. L’11 marzo di quell’anno, infatti, avvenne un grave incidente ai reattori della centrale nucleare, investita da un violento tsunami, e il paese paga ancora oggi le conseguenze di quella tragedia. Per questo negli ultimi anni il Giappone ha deciso di puntare con forza sullo sfruttamento del carbone. Non ha capito, però, che così rischiava di “cadere dalla padella nella brace”. Per fortuna ci ha pensato l’attivista Kimiko Hirata, che ha impedito l’apertura di 13 nuovi centrali a carbone. Queste avrebbero rilasciato nell’atmosfera più di 1,6 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, provocando un aumento enorme dei gas serra.

Sharon a fianco degli afroamericani

Sharon Lavigne è un insegnante di sostegno che nel tempo libero combatte per l’ambiente. Nel 2019 è riuscita a fermare la costruzione di un altro enorme stabilimento per la produzione di plastica sul fiume Mississippi, in Lousiana, negli Stati Uniti. Lavigne ha vissuto per tutta la vita a St. James parish, sulle sponde dell’immenso corso d’acqua, tra New Orleans e Baton Rouge. Quest’area ospita quasi 150 fabbriche, tra raffinerie di petrolio e impianti per la produzione della plastica.

Raffinerie di petrolio lungo il Mississippi

Le abitazioni dei circa 20mila residenti, quasi tutti afroamericani, si affacciano su fornaci e oleodotti che inquinano l’aria e le acque, tanto che questo posto è conosciuto come “cancer alley”, il “corridoio del cancro”, per l’altissimo numero di malati di tumore a causa delle sostanze nocive rilasciate dalle industrie.

Il nuovo stabilimento avrebbe rilasciato più di 450 tonnellate all’anno di rifiuti pericolosi, ma grazie al progetto Rise St. James Sharon è riuscita a bloccarlo.

Liz e la conservazione della foresta amazzonica

Proprio come Nemonte Nenquimo, che ha vinto il Goldman l’anno scorso (vedi articolo sotto), Liz Chiacaje Churay si è aggiudicata il premio combattendo per salvare la foresta amazzonica nel suo paese d’origine, il Perù. Rappresentante della comunità dei bora, Liz manifesta da diversi anni per impedire che oltre 850mila ettari di vegetazione vengano messi in pericolo dalle attività dei minatori e dei contrabbandieri di legname. E nel 2018, finalmente, il governo di Lima ha istituito il Parco nazionale di Yaguas, un’area protetta che viene considerata un esempio di “megadiversità biologica”, perché è la casa di oltre 3mila specie di piante, 500 specie di uccelli, 550 di pesci e tantissimi mammiferi.

Un giaguro nel Parco nazionale di Yaguas

Thai che salva i Pangolini

Unico uomo premiato quest’anno, Thai Van Nguyen ha fondato l’organizzazione Save Vietnam’s wildlife, che tra il 2014 e il 2020 ha salvato più di 1.500 pangolini dal commercio illegale di specie selvatiche. Thai ha creato anche la prima squadra vietnamita contro il bracconaggio che negli ultimi tre anni ha distrutto più di 9.000 trappole per animali.

Il pangolino fino a poco tempo fa non era molto conosciuto, ma nel 2020 è salito alla ribalta perché è stato sospettato di essere la specie “ponte” che ha permesso al virus del Covid-19 di trasmettersi dai pipistrelli all’uomo, una possibilità che ormai è stata scartata dall’Organizzazione mondiale della sanità. Però, nonostante sia in vigore un divieto internazionale, resta l’animale più cacciato e trafficato al mondo per le presunte capacità curative delle scaglie della sua corazza. Grazie a Nguyer oggi può tornare a mettere il naso fuori dalla sua tana senza più paura.

E gli italiani?

Ci sono mai stati vincitori italiani del Nobel per l’ambiente? La risposta è sì! La prima è stata Anna Giordano, nel 1998, un membro del WWF che ha lottato per proteggere gli uccelli selvatici e contro la costruzione del ponte sullo stretto di Messina che avrebbe provocato numerosi danni all’ambiente circostante.

Pensa che ancora oggi c’è chi pensa che la costruzione del ponte sullo Stretto sia una buona idea!

Nel 2013, invece, ha vinto il premio Rossano Ercolini, un maestro elementare di Capannori, in Toscana, che ha fondato il movimento “Rifiuti zero” per opporsi alla costruzione di un inceneritore a poca distanza dalla scuola in cui insegnava.

Come vedi, le battaglie dei singoli possono diventare le battaglie di tutti e viceversa. L’importante è essere dei combattenti di battaglie giuste!

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