Perché agli Europei i calciatori si mettono in ginocchio?

Perché agli Europei i calciatori si mettono in ginocchio?

8 Luglio 2021 0 Di Pier

Eh sì, cari Ventitrentiani e care Ventitrentiane, siamo arrivati alla partita decisiva. Domenica 11 luglio, alle ore 21.00, nel mitico stadio di Wembley si giocherà la finale degli Europei di calcio 2020. Rimandato di un anno a causa della pandemia mondiale di Covid-19, il torneo che vede affrontarsi le più forti nazionali del nostro continente avrà come protagoniste dell’ultimo incontro la nostra Italia e l’eccellente Inghilterra.

Ora, io lo so che avete ancora nella mente il bellissimo rigore di Jorginho, con il suo poetico saltellino prima del tiro, e l’urlo di Caressa: “Andiamo in finale, Beppe, andiamo in finale!”. E scommetto che state già preparando le bandiere tricolore e ripassando i nomi dei nostri giocatori (a proposito, ma quanto è forte Federico Chiesa!). Quindi, sì, vi meritate una bella foto della nostra squadra che esulta!

Però, sono certo che sapete anche che, per vincere le partite, bisogna studiare molto bene il proprio avversario. E non solo, occorre essere onesti e riconoscerne il valore. Ebbene, questa Inghilterra è davvero molto forte e, per di più, ha anche una grande umanità. Cosa voglio dire? Voglio dire che i suoi calciatori non pensano soltanto a giocare a calcio, ma sono anche impegnati a livello sociale. Infatti, in perfetta sintonia con l’Agenda 2030, in particolare con l’obiettivo 10 che punta a ridurre le disuguaglianze, sono stati tra i primi, insieme ai giocatori del Belgio, a inginocchiarsi sul campo come forma di protesta pacifica contro il razzismo.

Il giocatore del Belgio Romelu Lukaku si inginocchia prima della partita con l’Italia

Bello, sì, ma che c’entra con la finale degli Europei e con il nostro obiettivo di vincerla? Be’, care ragazze e cari ragazzi, la mia idea è che quasi sempre, salvo rare eccezioni, i grandi atleti sono prima di tutto grandi persone. Quindi, onore agli inglesi che hanno dimostrato di esserlo, e speriamo di risultare alla loro altezza sia dentro che fuori dal campo! Già, perché è proprio questo il nocciolo della faccenda: il gesto dell’inginocchiarsi (che in inglese si dice “take a knee“) ricorda al mondo intero che meritiamo tutti di stare alla stessa altezza!

STORIA DI UN SIMBOLO

Chi è stato il primo a inginocchiarsi?

ll primo giocatore a inginocchiarsi non è stato un calciatore, ma Colin Kaepernick, il quaterback dei San Francisco 49ers, una squadra del campionato di football americano (la NFL). Il football è uno dei 4 sport nazionali degli Stati Uniti, insieme a basket, baseball e hockey su ghiaccio. Colin ha cominciato la sua protesta nell’agosto del 2016 per denunciare le violenze della polizia verso gli afroamericani ed esprimere solidarietà al movimento Black Lives Matter. All’inizio restava semplicemente seduto invece di alzarsi durante l’esecuzione dell’inno nazionale americano che precede tutte le partite. Alla domanda sul perché lo stava facendo, Colin rispose chiaramente:

Non mi alzerò per mostrare orgoglio per la bandiera di un paese che opprime la gente nera e le altre minoranze. Per me questo è più importante del football, e sarebbe egoista da parte mia guardare da un’altra parte. Ci sono morti nelle strade e gente stipendiata che uccide e la passa liscia!

Colin Kaepernick

Successivamente Kaepernick e un suo compagno di squadra afroamericano, Eric Reid, dopo essersi confrontati, decisero di inginocchiarsi invece che rimanere seduti. Questo perché volevano trovare un metodo di protesta che non risultasse offensivo nei confronti dei militari, come poteva essere, invece, rimanere seduti.

Il Black Lives Matter

La contestazione lanciata da Kaepernick, come vi ho anticipato, nasce sulla scia del Black Lives Matter (che letteralmente significa “Le vite nere contano“). Questo movimento è sorto negli Stati Uniti nel 2013, in seguito all’assoluzione di George Zimmerman, il quale il 26 febbraio 2012 aveva ucciso con un’arma da fuoco il diciassettenne afroamericano Trayvon Martin. Da allora, su vari social, aveva iniziato a comparire l’hashtag #BlackLivesMatter, da cui ha avuto origine l’omonima organizzazione. I suoi membri combattono il razzismo che ancora oggi esiste nel paese nei confronti delle persone di colore. In particolare hanno dato vita a diverse manifestazioni contro i ripetuti atti di violenza ingiustificata compiuti dalla polizia verso gli afroamericani. Il Black Lives Matters, purtroppo, è tornato prepotentemente alla ribalta l’anno scorso, dopo i terribili omicidi di George Floyd e Breonna Taylor.

Una manifestante chiede giustizia per George Floyd

Nonostante l’opposizione di personaggi importanti, come l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che fin da subito ha chiesto il licenziamento di Kaepernick e di tutti i suoi imitatori, il “take a knee” si è velocemente diffuso in tutti gli sport americani. Grandi campioni dell’NBA come LeBron James e Stephen Curry si sono inginocchiati ripetutamente. E la squadra di quest’ultimo ha rifiutato persino di partecipare alla festa riservata ai vincitori del campionato alla Casa Bianca. Dagli stadi e dai palazzetti la protesta degli inginocchiati si è così spostata nelle strade di tutto il mondo. E ogni volta che c’era da manifestare contro un’ingiustizia razziale, qualcuno era pronto ad accucciarsi, tanto che alla fine per solidarietà lo hanno fatto persino alcuni membri delle forze dell’ordine.

Diamo un “calcio” ai pregiudizi

Ma chi è stato il primo calciatore a inginocchiarsi? Non lo indovinerete mai! E sapete perché? Perché scommetto che tutti quanti state pensando a un uomo. E invece il primo calciatore a inginocchiarsi è stato in realtà una calciatrice. È l’ennesima dimostrazione di quanti pregiudizi abbiamo ancora sulla parità di genere (ricordatevi l’obiettivo 5!) e sul fatto che non esistono cose che possono fare solo gli uomini o solo le donne. Dovete infatti sapere che uno dei più grandi campioni di calcio al mondo è una donna, la statunitense Megan Rapinoe, capitano della nazionale. Appartiene a quel ristrettissimo club di giocatori che hanno vinto due coppe del mondo, e nel torneo del 2019 si è aggiudicata anche la scarpa d’oro. La sua grandezza, però, non è evidente solo sul campo, perché Megan è da sempre un’attivista. E nel 2016 è stata il primo calciatore a inginocchiarsi.

Megan Rapinoe con la coppa del mondo e la scarpa d’oro

I simboli che fanno la storia

In tanti in questi giorni hanno criticato il gesto dei giocatori di calcio agli Europei affermando che il mondo dello sport e quello della politica sono diversi e non dovrebbero confondersi tra di loro. E c’è anche chi ha sostenuto che comunque queste forme di protesta lasciano il tempo che trovano e non vengono ricordate perché non contribuiscono a cambiare le cose. Come sempre, siete liberi di farvi da soli una vostra opinione. Però, al solito, il mio consiglio è di guardare alla Storia. In particolare, oggi, vi lascio con il ricordo del podio dei 200 metri all’Olimpiade del 1968. Questa immagine, a distanza di 53 anni è ancora una delle più famose foto di sport che siano mai state scattate.

Tommie Smith, John Carlos e Peter Norman protestano contro il segregazionismo

I due atleti che alzano il pugno sono Tommie Smith e John Carlos. Lo sollevano per protestare contro il segregazionismo negli USA, ossia la politica di discriminazione razziale di cui vi ho già parlato nell’articolo su Martin Luther King. Il loro gesto fu rivoluzionario e contribuì notevolmente a cambiare le cose. Ma io voglio che vi concentriate un istante sul terzo atleta, l’australiano Peter Norman. È vero, non alza il pugno, e tutti potremmo pensare che non sta partecipando alla contestazione. Invece lui partecipò eccome. John, infatti, aveva dimenticato i guanti neri in camera, e fu Peter a suggerire loro di usare un guanto a testa del paio di Tommie. Inoltre, se fate molta attenzione, l’australiano porta sul petto la loro stessa coccarda, che era il simbolo del “movimento olimpico per i diritti umani”. Insomma, i simboli possono fare la Storia, a volte si tratta solo di trovare il proprio!

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